La M4-C1 – Riduzione dei divari territoriali e lotta alla dispersione scolastica Nel definire i criteri per ripartire le risorse tra le singole istituzioni scolastiche, il DM 170/2022 premette che: « è necessario individuare specifici e oggettivi indicatori disponibili, quali il tasso di fragilità degli apprendimenti, c.d. ‘dispersione implicita’ (percentuale di studenti che in entrambe le materie, italiano e matematica, ha conseguito un risultato molto basso), calcolato dall’INVALSI, pari o superiore all’8% del totale degli studenti, in coerenza e nel rispetto di target e milestone del PNRR, in proporzione al numero di studentesse e studenti effettivamente frequentanti, come rilevati dall’anagrafe delle istituzioni scolastiche presso il Ministero dell’istruzione». In pratica, attraverso le disposizioni attuative PNRR, si promuove un uso pervasivo dei test INVALSI che diventano lo strumento ufficiale di riferimento per l’individuazione delle «fragilità degli studenti » .
Con tale scelta si mira a delegittimare una delle funzioni fondamentali della professionalità docente , la valutazione, orientando l’attività educativa verso la performance nelle prove INVALSI e subordinando il giudizio collegiale del consiglio di classe, frutto del lavoro didattico di mesi, agli automatismi inconoscibili e immodificabili degli algoritmi predittivi relativi ai risultati di un test standardizzato. Con la giustificazione dell’attribuzione dei finanziamenti della Missione 1.4 del PNRR, finalizzati alla «Riduzione dei divari territoriali» sul piano dei risultati scolastici, è in atto una schedatura di massa degli studenti attraverso l’invio da parte dell’INVALSI dei codici mediante i quali vengono resi noti alle scuole i nomi di tutti i singoli alunni della scuola primaria e secondaria che, in base a test standardizzati mantenuti segreti e a un algoritmo predittivo non verificabile, sono ricaduti nella categoria ideata dall’INVALSI dei cosiddetti « dispersi impliciti» in quanto classificati con il valore dell’indicatore di «fragilità negli apprendimenti» (secondo i diversi gradi di livello 1, 2 o 0). Tale classificazione assegna un’etichetta individuale, ad insaputa degli interessati e delle famiglie, senza alcuna trasparenza su chi abbia deciso questo passaggio istituzionale, in funzione di una valutazione non controllabile, cioè di una schedatura eseguita automaticamente da un algoritmo associato alle risposte date a un test standardizzato. Cosa ben diversa rispetto alla valutazione di un insegnante (con cui si può interloquire direttamente per spiegazioni e motivazioni del giudizio) o alla valutazione finale e collegiale dello scrutinio di un consiglio di classe o di una commissione di esame. Tutte valutazioni contestabili e possibili oggetto di confronto. Il livello di «fragilità» INVALSI, invece, è un esito associato al codice SIDI identificativo dello studente.
Un dato strutturalmente inconoscibile, per come progettato e calcolato. Con una procedura automatica e circoscritta a una prova standardizzata annuale di Italiano, Matematica e Inglese, che ha coinvolto circa 2,5 milioni di alunni/e, attraverso test somministrati in formato cartaceo alle classi V della scuola elementare e in formato digitale alle classi III media e ultimo anno superiori, l’INVALSI sancisce per quasi 1 milione di bambine/i e ragazze/i una certificazione di «fragilità scolastica». Così, attraverso l’etichettatura istituzionale di «potenzialmente disagiato», si tende a patologizzare l’insuccesso attestato dagli esiti individuali delle prove somministrate e ad assimilare implicitamente la segnalazione di «fragilità» alla condizione di una disabilità psico-fisica.Le istituzioni scolastiche direttamente coinvolte nei finanziamenti del PNRR, in quanto selezionate per sopperire alle proprie lacune riguardanti la «dispersione implicita» attestata dai dati INVALSI, sapranno che questi studenti sono ufficialmente “fragili”, senza che le famiglie abbiano dato alcun consenso a questa “certificazione algoritmica” e senza alcuna garanzia che tali schedature possano rimanere nomine né strettamente confidenziali, dal momento che i dirigenti scolastici dovranno firmare un “atto d’obbligo” per migliorare i risultati di questi studenti e a tale scopo saranno sottoposti a monitoraggio trimestrale per la verifica dell’utilizzo conforme dei fondi ricevuti.
Le azioni di prevenzione/contrasto della dispersione scolastica così come concepite e finanziate dal PNRR, invece di ridurre il numero di alunni per classe, eliminare la precarietà e potenziare gli organici docenti e ATA, impongono prescrizioni procedurali,metodologiche e digitali funzionali all’aziendalizzazione tecnocratica dell’istruzione, favorendo l’invadenza degli interessi privati nel campo dell’educazione, della formazione e della gestione dei dati. Sul piano didattico, se lo strumento ufficiale diventa la misurazione del livello di «fragilità degli apprendimenti» e l’obiettivo prioritario è il miglioramento dei risultati nelle prove INVALSI, c’è il rischio che molti insegnanti, i referenti dei progetti e i dirigenti scolastici concentrino gli sforzi sull’addestramento ai test standardizzati per aumentare rapidamente i punteggi delle domande a risposte chiuse. Magari avvalendosi di consulenti esterni e aziende specializzate, attraverso le tante proposte formative a pagamento circolanti in rete, con iscrizioni a corsi on line per le prove INVALSI.
Sul piano burocratico-procedurale, le scuole statali alle prese con la gestione dei fondi e dei progetti PNRR sono in enorme difficoltà perché il personale amministrativo, sottodimensionato e oberato da incombenze crescenti, è allo stremo. E anche qui l’insostenibilità delle tempistiche di progettazione e rendicontazione si presta a costituire un’occasione d’oro per aziende informatiche e “agenzie formative” private che possono assistere la Dirigenza scolastica.
Stefano Fusi
(la prima parte di questo articolo è stata pubblicata nel numero 16 della rivista)