sabato, Aprile 19, 2025

La lotta antimperialista e democratica del confederalismo curdo è la più avanzata degli ultimi decenni

Relazione di Piero Bernocchi alla Conferenza Internazionale “Libertà per Öcalan: una soluzione politica per la questione curda“, Roma 11 aprile 2025

Alcuni mesi fa ho pubblicato sul mio sito, a titolo personale e non in quanto portavoce della Confederazione COBAS, un articoletto di sentito rammarico per la scarsa, a mio avviso, mobilitazione  in solidarietà con la lotta del popolo curdo contro l’aggressione criminale di Erdogan in Turchia e in Siria. Sottolineavo come sarebbe stato auspicabile che, sulla base del drammatico appello del Congresso Nazionale del Kurdistan di quei giorni, in particolare la sinistra conflittuale, antagonista, radicale o anticapitalista che dir si voglia, coinvolta nella sacrosanta mobilitazione permanente per i palestinesi, dedicasse analogo impegno a favore dei fratelli e sorelle curdi. Ma aggiungevo anche il mio timore che ciò non sarebbe accaduto, poichè il criminale Erdogan e l’iper nazionalismo turco sembrava non suscitare lo stesso sdegno del Netanyahu massacratore. E segnalavo il mio stupore per questa differenza di impegno, ritenendo io i curdi/e l’espressione più luminosa di una rivoluzione politica, civile, sociale, morale e culturale,  che li dovrebbe rendere degni del massimo impegno solidale. E domandavo: perchè per i curdi “nel movimento” non si spendono energie paragonabili a quelle viste per i palestinesi egemonizzati, con le buone o le cattive, da Hamas? Perchè non era stata occupata non dico una università ma manco un’auletta scolastica in loro nome e difesa? Perchè nessun settore di studenti si è battuto per imporre l’interruzione dei rapporti culturali con le università turche, come si è fatto per quelle israeliane? O perchè non si è praticato alcun boicottaggio dei prodotti turchi come avvenuto per Israele? 

Malgrado lo scritto abbia avuto una discreta diffusione, non ho ricevuto vere risposte, se non alcuni scomposti attacchi, aggressivi e offensivi, da parte di chi vedeva nelle mie domande un attacco ai palestinesi o una pretesa di dare voti alle varie lotte popolari e di resistenza, dividendole in “buone” da premiare e “cattive” da trascurare. Per la verità un tentativo di risposta c’è stata, ma sono persino imbarazzato nel riferirvele, perchè veniva da sciagurati capaci di considerare i curdi non meritevoli di solidarietà in quanto “vassalli dell’imperialismo americano” per il loro ricevere armi e aiuti militari dagli USA. Posizioni non meritevoli di risposta, visto che l’aiuto degli USA al curdi siriani è avvenuto solo perchè gli eroici combattenti curdi erano in primissima fila, e versavano sangue a fiumi, in difesa del Medio Oriente e del mondo in generale, contro i tagliagole massacratori del Daesh/ISIS. Al punto da interrompere gli aiuti una volta che le milizie del Daesh furono sbaragliate dai combattenti curdi, per non parlare dell’assoluta indifferenza attuale dell’orrendo Trump di fronte alle aggressioni del nuovo governo siriano contro le zone amministrate dai curdi del Nord Siria.

Nella relazione che ha preceduto la mia, Emily Clancy (n.b. vicesindaca di Bologna) ha esaltato il fondamentale contributo di Öcalan e del confederalismo democratico per coloro che si battono per un municipalismo democratico, per l’ambientalismo, l’ecologia sociale e il “comunalismo”. Io andrei anche oltre, perchè la teoria del confederalismo curdo, elaborata da Öcalan sulla base degli insegnamenti del filosofo socialista e libertario statunitenze Murray Bookchin è, a mio parere, l’elaborazione anticapitalista e antimperialista pià avanzata mai apparsa sulla scena politica internazionale dalla fine della seconda Guerra Mondiale. Essa non si limita ad essere una teoria – che rompe con la tradizione marxista-leninista dello stesso Öcalan e del PKK dei primordi – “dell’amministrazione politica non statale e di una democrazia senza Stato“, come nell’eleborazione primaria di Bookchin. Öcalan e il suo confederalismo curdo sono andati oltre, mettendo in luce come un antiimperialismo aggiornato al 21° secolo non possa ignorare che il capitalismo ha mille facce che devono essere tutte contrastate e rovesciate se si vuole sul serio prospettare un superamento dello stesso: dal che, dunque, lo sviluppo di teorie ambientaliste aggiornate, un’elaborazione sull’energia da utilizzare per una buona economia, l’assolutà parità praticata tra uomo e donna, con l’estirpazione del patriarcato e del maschilismo strutturale; il rifiuto del nazionalismo, dell’integralismo religioso e della competizione tra etnie e fedi, l’accettazione dei diversi orientamenti sessuali, la pratica della cooperazione, del dialogo e la ripulsa dell’odio inestinguibile verso l’avversario e persino il nemico, combattuto ma non demonizzato nè brutalizzato.

Mentre ascoltavo le relazioni precedenti, mi è venuto spontaneo fare un raffronto tra il mio attuale impegno a fianco della lotta curda con quelli che mi hanno coinvolto in 60 anni di attività politica, iniziata intorno al 1965. Sono stato fortemente impegnato a fianco della rivoluzione cubana, della lotta di liberazione del Vietnam, e poi il Cile, il Nicaragua, la Palestina e, appunto, la difesa del popolo curdo. E non ho potuto evitare la considerazione che solo in questa ultima occasione la mia solidarietà è andata oltre il sostegno ad una lotta antiimperialista, perchè per la prima volta si è realizzata per me un’identità di veduta completa non solo con gli obiettivi di liberazione antimperialista ma anche con la teoria, con la strategia e con la pratica della leadership del popolo in lotta: cosa per me non accaduta nè con Cuba, nè con il Vietnam o il Nicaragua, il Cile, o la Palestina ieri egemonizzata da Al Fatah e oggi da Hamas.

In questa occasione, invece, a partire almeno dal Contratto sociale del Rojava del 2014 e dopo più di un decennio di gestione sociale, politica ed economica, nessuno dei principi elaborati dal confederalismo democratico è stato tradito, rinnegato o rovesciato nella pratica, nè il rifiuto dello Stato-padrone e del nazionalismo, nè la coesistenza di etnie, religioni, popoli, nè la parità di genere, nè l’ecologismo rigoroso. E nemmeno la capacità di combattere il nemico senza odiarlo, come Öcalan ha ribadito con estrema dignità nel suo Appello per la pacificazione con la Turchia, da cui neanche la pur sacrosanta ostilità, verso chi criminalmente lo ha sequestrato per 26 anni, traspariva: e che vistosa differenza con altre leadership di popoli in lotta, trasudanti integralismo religioso, cultura reazionaria e repressiva, dittatura politica e odio viscerale non solo per il nemico immediato ma per tutti i non appartenenti alla propria etnia, religione, credo politico e cultura! Perchè alla fin fine la miglior conferma della bontà di una teoria è la sua messa in pratica: anche il leninismo e bolscevismo, ad esempio, partivano con l’intenzione di garantire la giustizia e l’eguaglianza sociale ed economica, ma poi nella pratica la presunta democrazia popolare (la “dittatura del proletariato”) si trasformò rapidamente prima in dittatura del partito comunista e poi, e definitivamente, in dittatura del dittatore, unico sovrano indiscutibile delle sorti del proprio popolo.

Insomma, credo che la lotta antimperialista e rigorosamente democratica del confederalismo curdo, guidato dalle intuizioni e dalla stategia elaborata da Öcalan, sia la punta mondiale più avanzata, negli ultimi decenni, di un’idea completa e ricca di democrazia, multiculturalismo, tolleranza, femminismo ed ecologismo, e un riferimento ideologico, politico e culturale senza eguali nel mondo, mentre altri popoli, ugualmente oppressi e massacrati, si sono dati (o sopportano) leadership reazionarie, ultrasessiste, omofobe e repressive. E per questo vorrei che da questa importantissima Conferenza Internazionale partisse un forte impulso per l’Italia che ci aiuti a potenziare e a moltiplicare l’impegno di solidarietà e mobilitazione a fianco del popolo curdo. Perchè, purtroppo, non riesco ad avere lo stesso ottimismo emerso dalle relazioni di Zilan Diyar, Keskin Bayindir, Mike Arnott e da altri esponenti politici curdi intervenuti, i quali hanno esaltato il rilievo dell’Appello di Öcalan per la pacificazione e la riconciliazione nazionale che, a loro dire, avrebbe cambiato radicalmente il panorama del conflitto turco-curdo, in Turchia e in Siria, e aperto nuove e positive strade per il loro popolo. E non ci riesco non solo perchè a due mesi di distanza da tale Appello nessuna risposta positiva è venuta da Erdogan, ma ancor più per il ruolo crescente che il satrapo è venuto assumendo nei principali conflitti mondiali, dalla guerra russo-ucraina a quella israelo-palestinese, nonché per il suo potere sempre più rilevante di controllo dell’emigrazione di massa dal Medio Oriente verso l’Europa. E’ questo rilievo determinante assunto negli equilibri mondiali che consente ad Erdogan non solo di minimizzare l’appello di Ocalan e la pacificazione proposta ma addirittura di intensificare la repressione verso l’opposizione che gli ha permesso, senza particolari reazioni internazionali, di incarcerare il popolarissimo sindaco di Istanbul Imanoglu, favorito nei sondaggi per detronizzarlo dalla massima carica politica turca.

Per la verità, mi permetto anche di dissentire dall’elogio che Keskin poco fa ha fatto del legame forte e particolare con Roma dei curdi che vivono in Europa e in Italia. Evidentemente si conferma la grande generosità curda anche verso chi li ha platealmente traditi, consegnando di fatto, con la propria ignavia, Öcalan ai suoi persecutori: gravissima responsabilità che certo non è dei singoli cittadini romani ma di sicuro del potere politico romano e nazionale e segnatamente del “leader maximo” e presidente del Consiglio dell’epoca, incidentalmente proprio romano di nascita. E da allora non si può dire che le istituzioni politiche italiane si siano riscattate in qualche modo, lavorando per riparare al gravissimo danno apportato alla lotta del popolo curdo. Credo che l’unico gesto, glorioso ed eroico, che possiamo mostrare a discolpa delle responsabilità italiane, più che la mobilitazione “di movimento” che, come ho già detto, continua a sembrarmi maledettamente sottodimensionata rispetto alle necessità, è la vita che Orso, Lorenzo Orsetti, a 33 anni, nel 2019, ha offerto al popolo curdo, sacrificandola in combattimento a difesa di Kobane. Lorenzo ha lasciato, in previsione della possibilità di morire nella guerra contro i tagliagole del Daesh, uno scritto straziante e esaltante al contempo. Ci diceva soprattutto: “Non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così , non ho rimpianti, sono morto facendo quelo che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà…Sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra..Non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai!..E’ proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve“. Do per certo che con la sua morte combattente Lorenzo sia entrato nel “pantheon degli eroi” del popolo curdo. Vorrei tanto che entrasse pure in un “pantheon degli eroi” italiano, così rinsecchito almeno negli ultimi decenni: e che in suo nome ci si elevasse al più presto a livelli di mobilitazione che possano essere degni della sua giovane vita sacrificata.

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