mercoledì, Marzo 12, 2025

 I COBAS Scuola contro le prove INVALSI: un excursus storico (1)

Le prove INVALSI sono ormai parte integrante del sistema di istruzione e si sono così radicate da essere spesso accettate passivamente, considerate innocue e ridotte a una semplice routine, senza che se ne comprenda pienamente la reale utilità poiché di fatto non è osservabile come i risultati vengano effettivamente utilizzati per apportare miglioramenti al sistema educativo italiano, a fronte però di un costo per lo Stato di circa 400 milioni di euro dal 2004 a oggi, di tagli e mancati finanziamenti alla scuola.

L’avvicinarsi delle prove genera sempre una certa ansia: Come si comporteranno i miei alunni? Come andrà mio figlio? Sarò in grado di affrontarle? Nonostante ciò, vengono somministrate, corrette e tabulate perché “si deve fare” e un altro anno scolastico procede secondo rito.Una maggiore consapevolezza sarebbe utile per comprendere le ragioni per cui i COBAS, insieme a molte docenti e genitori, si oppongono alle prove, rifiutandosi di somministrarle, scioperando o scegliendo di non mandare i propri figli a scuola nei giorni stabiliti. Per interpretare il presente, è essenziale conoscere il passato, e quindi è utile ripercorrere le principali tappe che hanno portato all’istituzione e allo sviluppo dell’INVALSI.

Nel 1999, sotto la guida del ministro Berlinguer, la scuola italiana subisce una trasformazione importante. Con il DPR 275 viene disciplinata l’autonomia scolastica, avviando una riforma che cambia profondamente il sistema educativo. I direttori didattici e i presidi acquisiscono il ruolo di dirigenti scolastici acquisendo competenze che in precedenza erano principalmente collegiali.  La scuola inizia ad adottare una logica gestionale più aziendale, con il dirigente che diventa un manager, chiamato a rendicontare il proprio operato in base a parametri di efficienza ed efficacia. Entra nel sistema educativo italiano il principio dell’accountability, che implica l’obbligo di rendere conto dei risultati. Sempre nel 1999, il Centro europeo dell’educazione (CEDE) viene trasformato nell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo.

Nel 2003, con la ministra Moratti, la riforma continua con la legge 53 che introduce le prime rilevazioni obbligatorie. Nel 2004, l’Istituto viene riorganizzato e rinominato “Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione” (INVALSI), con il compito di effettuare prove periodiche di apprendimento. Entra a far parte del Sistema nazionale di valutazione, definendo le modalità tecnico-scientifiche della valutazione. Si afferma la cultura della valutazione in termini di accountability e le prove INVALSI iniziano a influenzare le pratiche didattiche. Alle prove ci si prepara e prende avvio il fenomeno del teaching to the test. Parallelamente, tra i docenti e i genitori si analizzano criticamente gli effetti delle prove che vengono contestate. Le principali obiezioni riguardano la loro natura standardizzata e decontestualizzata che le rende discriminatorie e inadatte a cogliere le specificità di scuole e di studenti, soprattutto quelli provenienti da contesti svantaggiati. Si critica il modello anglosassone, che rischia di ridurre l’apprendimento alla sola preparazione ai test, trascurando competenze critiche e laboratoriali.

Nel 2008, la ministra Gelmini introduce la Direttiva 74 che stabilisce che la rilevazione degli apprendimenti debba essere effettuata in ingresso e in uscita dei diversi livelli scolastici per valutare il valore aggiunto delle scuole. Questo “effetto scuola” misura quanto una scuola sia riuscita a far apprendere ai propri alunni più di quanto avrebbero appreso mediamente altri studenti con caratteristiche simili all’inizio del percorso. Sebbene le prove non siano obbligatorie, molti docenti le percepiscono come uno strumento di valutazione del loro operato e si diffonde la pratica del teaching to the test. Le case editrici si adeguano, pubblicando fascicoli specifici per la preparazione, a carico delle famiglie. Questo allarma molte scuole, che vedono questi meccanismi di valutazione come estranei alle loro pratiche didattiche. Molti istituti scelgono di non somministrare i test, rifiutandosi per motivi pedagogici, didattici contrattuali. Numerosi insegnanti si rifiutano di sottoporre i propri studenti alle prove e molti genitori decidono di tenere i figli a casa o inviano diffide al dirigente scolastico.

Nel 2011, i COBAS SCUOLA indicono il primo sciopero contro le prove INVALSI.

Nel 2015, con la legge 107, la cosiddetta “buona scuola” del ministro Renzi, l’INVALSI viene potenziato. Cambia il quadro di riferimento per l’impiego dei dati presenti nel Rapporto di Autovalutazione (RAV), il format è predisposto dall’INVALSI e le priorità relative agli esiti degli studenti sono dedotte dai risultati delle prove. La “buona scuola” provoca una grande contestazione contro la realizzazione di un ciclo premiale che va dall’INVALSI ai dirigenti scolastici, dai dirigenti ai docenti e infine agli alunni. Nel 2022, il ministro Valditara cambia il nome del Ministero dell’Istruzione in Ministero dell’Istruzione e del Merito, ma l’idea di una scuola meritocratica ha radici nelle politiche dei ministri precedenti.

I COBAS invitano a una prima riflessione rispetto a test standardizzati che possono misurare conoscenze nozionistiche o abilità di ragionamento, ma non sono in grado di valutare aspetti fondamentali come la riflessione critica, l’espressione del pensiero, la partecipazione, la creatività e il pensiero divergente. Questi strumenti non riescono a cogliere le dinamiche quotidiane dell’insegnamento, che vanno ben oltre la mera preparazione ai test. Eppure, costano molto…

 Bruna Sferra    Esecutivo di Roma e provincia dei COBAS Scuola

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