di Anna Grazia Stammati Presidente CESP
Il CESP-Rete delle scuole Ristrette, ha ricevuto una lettera in merito a quanto sta avvenendo nel carcere bolognese “Rocco D’Amato”, di cui nei giorni scorsi anche autorevoli quotidiani hanno dato notizia. Tale situazione, ci dicono le colleghe e i colleghi della Rete, non costituisce, però, un fatto isolato e anche in altri istituti penitenziari sono in atto massicci trasferimenti, con preavviso minimo e spesso di persone detenute ben inserite, che lavorano e sono iscritte a scuola. Rendiamo pubblica, con il consenso della docente, quanto a noi inviato.
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Lavoro, come insegnante, ormai da alcuni decenni alla Dozza, la Casa circondariale “Rocco D’Amato” di Bologna, dove contribuisco a garantire l’esercizio di un diritto fondamentale, l’istruzione. Molti e molte hanno scritto al riguardo, hanno raccontato, hanno denunciato e avanzato proposte per poter svolgere tale diritto al meglio; molte volte abbiamo sentito parlare del ruolo che l’istruzione può avere per chi deve rivedere e ricostruire il proprio percorso di vita; molte volte sono emerse difficoltà, ostacoli, muri di gomma che hanno reso difficile la realizzazione di tale diritto.Tra i detenuti presenti in istituto (circa 900), in Alta Sicurezza ne sono detenuti 110 (Fonte Antigone) e di questi circa una trentina, o poco meno, frequentava la scuola, mentre un’altra decina circa l’Università: in questa sezione non vi sono molte attività e quindi la scuola, lo studio, ha una sua ragione di essere e lo dimostra anche il fatto che proprio al termine di questo anno scolastico un gruppo nutrito di studenti dovrebbe, anzi, avrebbe dovuto, affrontare l’esame di Stato e che gli studenti iscritti all’Università stavano cimentandosi negli esami.
Quando si parla di alta sicurezza pensiamo alla criminalità organizzata, pensiamo a percorsi di vita, ad ambienti complicati che spesso pubblicamente sono stati ricondotti a percorsi dove innanzitutto è mancato un processo di scolarizzazione. All’improvviso, invece, il 21 febbraio scorso, tutto ciò che faticosamente è stato costruito, senza nessuna comunicazione ufficiale se non quanto scrivono i giornali, è stato annullato e abbiamo visto partire i ristretti dell’Alta Sicurezza che, in realtà, erano in attesa di un incontro con la direzione per il 24 febbraio. I detenuti, quindi, erano in qualche modo preparati e si aspettavano qualcosa del genere, ma non pensavano ad una partenza così repentina, senza la possibilità di salutare, di mantenere e non disperdere ciò che avevano costruito con il “mondo di fuori”, senza conoscere la propria destinazione, né i tempi necessari per parlare nuovamente con le proprie famiglie e poterle rivedere.
I ristretti del penale, sezione che vede la presenza di persone con sentenza definitiva ed anche lunga, nella quale si respira, però, un’aria diversa rispetto a quella dell’Alta sicurezza (libero accesso alle aule studio, alla palestra, al campo, alla biblioteca, all’aula video, accesso al lavoro con timbro del cartellino), verranno spostati nelle ex sezioni dell’Alta Sicurezza, lasciando la sezione penale che, appunto, in questi ultimi anni grazie al lavoro ( call center CAF , FID….) e alle aule studio dotate anche di supporto tecnologico e ad altri spazi, aveva tentato di essere “un luogo di normalità”. La sezione penale, invece, accoglierà giovani tra i 18 e i 25 anni provenienti da vari IPM, con problematiche marcate.
A questo punto, alcune domande sorgono spontanee: questa operazione è una estensione dell’Istituto Penale Minorile che va a risolvere la criticità del sovraffollamento degli IPM o si va a proporre un nuovo modello, visto che si inserisce in un istituto penitenziario per adulti, una “sezione minorile” che sarà gestita dal minorile in tutto e per tutto, con i relativi agenti, comandanti, direttori ed educatori?
Sembra la nascita di una nuova sezione, appunto, quella dei giovani adulti (qualcuno dice fortemente problematici), una sorta di “terra di mezzo”, ma se così fosse, ci si chiede come si possa pensare che riunire insieme persone problematiche garantisca loro un reale percorso rieducativo, facendo rimanere “il mondo di fuori” realmente fuori, senza alcun riguardo per tutto ciò che si stava costruendo. Infatti, ciò che maggiormente colpisce, è l’assoluta mancanza di comunicazione relativa a questi cambiamenti: nessuna comunicazione ufficiale, i ristretti coinvolti hanno solo “sentito dire” e solo i trasferimenti di queste ore fanno capire che sta accadendo qualcosa e gli stessi giornali danno a volte notizie diverse. Quello che si percepisce è disorientamento e rassegnazione.Pensiamo alla legislazione di questi ultimi decenni che sembrava avesse un orientamento per rendere il ristretto soggetto attivo e non passivo del proprio percorso ed identità.La mia non è rabbia, è indignazione!
Lettera firmata da 90 docenti della “Rete delle scuole ristrette”, in rappresentanza di cinquanta istituti penitenziari e scuole con sezioni nelle carceri